Una leggenda di Delnice, immortalata anche nel romanzo di Milivoj Mandić che porta lo stesso nome, scritto nel 1934.
La leggenda e il romanzo narrano la storia d’amore tra Jagoda Matković di Delnice e il prof. Branko Milić di Zagabria. Sin dall’infanzia, ogni estate, Branko si recava dai cugini a Delnice dove più tardi, negli anni della maturità , conobbe la bellissima Jagoda. Rivivendo l’infanzia vivace trascorsa a Delnice, la giovane coppia passava il tempo facendo lunghe passeggiate, attraversando paesaggi stupendi che in estate erano colmi di fragole, soprattutto sul Japlenški vrh, nel parco comunale e sul Petehovac, dove coltivavano le proprie passioni d’amore. Il loro amore era appassionato e profondo, ma i doveri di Branko e le acque matrimoniali in cui stava per addentrarsi a Zagabria misero Jagoda a dura prova, tanto che trasformò il loro luogo d’amore preferito (ovvero una ripida parete rocciosa che si innalza da una dolina profonda sui pendii del Petehovac, a 5 minuti di distanza dalla cima Štimac dove oggi sorge una casa/hotel) nel punto ideale dal quale lanciarsi nel vuoto a causa di un amore non corrisposto. Diede così vita a una storia eterna, alla leggenda di Delnice e a un’opera letteraria che continua ad attirare i visitatori, che si recano sul luogo per ammirare la bellezza primordiale della natura e l’amore puro che Jagoda e Branko lasciarono per sempre a Delnice e ai suoi ospiti. La trama dell’opera è accompagnata da straordinarie descrizioni della natura del Gorski Kotar, capaci di lasciare un segno nel lettore, mentre il sentiero che conduce al luogo dello svolgimento dell’opera è stato contrassegnato e reso sicuro per tutti i curiosi mediante una recinzione lunga 45 m.
Rappresenta la rinascita di una vecchia tradizione di Delnice, durante la quale le ragazze nubili lanciavano corone di fiori. La tradizione narra che durante la Festa di San Giovanni Battista, mentre portavano gli animali al pascolo, le fanciulle intessevano corone di margherite che in seguito lanciavano sui tetti in legno, per scoprire quando si sarebbero sposate. A seconda della fila di scandole sulla quale cadevano le corone, le fanciulle sapevano per quanti anni avrebbero dovuto attendere il proprio amore. Ancora oggi, nel mese di giugno, le ragazze lanciano corone di fiori sulle scandole del tetto della casa più antica di Delnice, Casa Rački...
I poeti (pesniki) di Crni Lug sono il gruppo carnevalesco più vecchio del Gorski Kotar che, con il suo modo di vestire e di fare, mantiene viva una tradizione vecchia quasi tre secoli. Portando abiti colorati, maschere di animali, un cappello alto da “stregone†sulla testa e “armati†di bastone e di campane sulla cintura, vanno di casa in casa salutando i proprietari. Suonando con forza scacciano tutto il “male†dalle case, ottenendo doni in denaro dai proprietari. La sera, dopo aver attraversato tutto il villaggio, organizzano una festa che vede riunite le maschere di tutto il Gorski Kotar e dintorni. “Andiamo dai poeti!†("Gremo va pesnike!â€) si sente urlare a Crni Lug nel Gorski Kotar all’inizio del periodo di Carnevale.
Da dove viene il capriolo situato nei pressi della riserva recintata di Delnice? Scopriamone la storia…
Sì, in quel 1951 io e la maggior parte dei miei colleghi avevamo 15 anni, ma ce n’erano alcuni un po’ più vecchi di noi, di un anno o due. Sono nato nel 1936. All’epoca il liceo si trovava in via Supilova 3 ed è proprio lì che ci recavamo ogni giorno. Era il terzo edificio a sinistra dalla chiesa, vicino alla casa dei Jaget, all’angolo tra via Supilova e via Sajmišna, oggi dalla casa degli operai. Tra il 1951 e il 1952 alla scuola fu assegnato un nuovo direttore. Fino ad allora il ruolo di direttore era ricoperto dal defunto prof. Ličan, un uomo e un pedagogo eccezionale, che esercitò quella funzione per più di 20 anni, fino a quando non dovette andare in pensione per ragioni di età . Fu sostituito dal compagno (come si usava dire all’epoca) Mirko Vukelić - caro e rispettato tanto quanto il suo predecessore - al quale fu assegnato il ruolo di nuovo direttore del Liceo. Un vero originario della Lika (nato da qualche parte nei pressi di Gospić), alto quasi 2 m, robusto e chiassoso, dalle gambe sottili, sempre vestito (sia d’estate, sia d’inverno) con stivali alti di pelle marrone che si allacciavano sul davanti, dal basso fino a sotto al ginocchio. Aveva anche le gambe “ad arcoâ€. Era una vera caricatura, anche se molto simpatico e dolce. Rivolgendosi agli alunni, li chiamava sempre: “Eh, miei dilberi!†(un turchismo che indica una persona capace di conquista il cuore, bella, amabile, cortese, dolce, cara, prediletta).
Il professor Vukelić era un biologo: insegnava lui questa materia. Ho (abbiamo) appreso molto dai suoi insegnamenti. Era anche appassionato di caccia. Un giorno (non ricordo la data) entrò nella nostra aula, nell’intervallo tra due ore e disse: “Dilberi miei, ho bisogno di almeno cinque volontari. Dovremmo trasportare una cosa dal nostro seminterrato alla stazione dei treni affinché giunga a Zagabria. E un’altra cosa, avremmo bisogno anche di un piccolo carretto per trasportare questa cosa fino alla stazione.†Dissi: “Professore, direttore, presterò un carretto a mano dal mio vicino (Belušić)â€. In un attimo fui davanti alla scuola con il carretto. Mentre arrivavo con il carretto, i ragazzi della nostra classe (i defunti Borko Ličan, Zlatko Crnković – attore, il defunto Crnić Alojz – redattore principale del libro G. kotar e Majnarić Dubravko – figlio del proprietario dell’hotel Tomislav) stavano estraendo dal seminterrato (dov’era depositata la legna da ardere) un grande busto in bronzo di Cesare. Diamine, era pesantissimo! Di un bellissimo colore verde! Aveva subito gli effetti dell’ossidazione! Mai, prima di allora, e nemmeno in seguito, vidi qualcosa di simile: era davvero meraviglioso!
All’epoca via Supilova non era asfaltata, ma pavimentata per tutta la sua lunghezza, dall’inizio dell’odierno Vučnik fino alla chiesa, vicino al Ruscello (Potok). Ma sobbalzando lungo via Supilova, pavimentata con mattoni, noi cinque riuscimmo a trascinare Cesare fino alla stazione soltanto a stento. Si stavano superando tutti i limiti, per lo meno per quanto ci riguardava! Era il periodo del lavoro volontario per i giovani: in tutta la Jugoslavia venivano organizzate sessioni di lavoro volontario della durata di uno o due mesi durante il periodo delle vacanze. Per esempio, la mia attuale moglie frequentava una classe più grande della mia. Lei e i suoi compagni di classe andarono (non so esattamente) nei pressi di Županja o Gradište a costruire l’autostrada. Noi invece non fummo attirati dall’autostrada ma restammo “a casaâ€. Ciononostante, anche noi dovevamo “svolgere†le nostre vacanze qui a Delnice, anche se non volevamo costruire l’autostrada. Ma come? Prima di tutto ci mettemmo a scaricare mattoni da uno dei vagoni in stazione e a trasportarli mediante un carro trainato da cavalli per poi scaricarli vicino all’attuale Liceo. Lo rifacemmo diverse volte al giorno, fino alle 16.00 circa, quando ce ne tornavamo a casa. Dovete sapere che in quegli anni non c’erano guanti, perciò le nostre dita erano tutte scrostate, fino a sangue, fino alla carne, a causa dei mattoni. Mi ricordo che avvolgevamo le dita in alcune fasce, ogni giorno. Ciononostante, continuavano a far male. L’area in cui fu costruito il nuovo Liceo fu scelta, assieme ai “compagniâ€, dal nostro caro Dilber. All’epoca si chiamava distretto, invece di comune di Delnice. Noi (compagni di classe che eravamo alle prese con “Cesareâ€) lo avevamo già dimenticato. Era già passato un anno, quando un giorno il direttore (ora lo chiamavamo tutti Dilber) entrò in aula, nel bel mezzo delle lezioni, e disse: “Su, miei cari dilberi, andate a prendere il carretto e andate in stazione, trasporterete una cosa fino all’area in cui verrà costruita la Casa di caccia.â€
Sì, ho già menzionato il fatto che il nostro direttore (Dilber) era appassionato di caccia. È ovvio che, grazie alle sue qualifiche professionali (professore di biologia) e alle sue capacità organizzative, fosse stato eletto presidente dell’Associazione venatoria “Tetrijeb†Delnice che all’epoca contava 110 membri attivi. Poiché molto attivo e capace, avviò la costruzione della Casa di caccia. Ma non di una casa qualsiasi. Ma di questa, che mantiene ancora oggi le sembianze di allora. Fu costruita senza denaro o sovvenzioni, ma solo grazie al lavoro volontario. Si tratta della vera verità , lo garantisco. E perbacco, il direttore “Dilber†avviò una campagna di costruzione della Casa di caccia (che ancora oggi domina superba dallo stesso punto del Japlenški vrh). Tra il 1952 e il 1953, le nostre due classi di liceo (una era più piccola della nostra) pagarono il conto e la costruzione (la fase finale del liceo): sgobbammo per tutte le vacanze. Durante la costruzione della Casa di caccia servivamo i muratori con pietre intagliate, mattoni, sabbia, malta, ecc. Ad un certo punto, quattro o cinque tra noi dilberi furono spediti in stazione a ritirare un pacco: un carico! Mi ricordo bene, il diretto “Dilber†mi diede un Foglio da carico, che dovevo consegnare al personale incaricato del magazzino carichi per ritirare il famoso pacco. Quando ecco l’inferno: si trattava di una vera e propria cassa chiusa da tutti i lati con delle tavole. Facemmo molta fatica spingendola al limite dello spazio manipolativo e in qualche modo riuscimmo a capovolgerla sul carretto a mano. E quindi riuscimmo appena - perché all’epoca non c’era l’asfalto, ma solo il sasso, una strada sterrata - a trascinare a destinazione quella mostruosità in una cassa di legno (scatola). Il nostro direttore (Dilber) ci stava aspettando, circondato da alcuni muratori che stavano costruendo i muri della Casa di Caccia. Disse subito: - Bravi, miei cari dilberi, ora aprirete questa piccola cassa lentamente e con cautela. E cavoli, non era piccola! Ma all’epoca dovevamo tacere e non potevamo protestare.
Dopo la capitolazione dell’Italia nel 1943 (8 settembre), qualcuno ripose il busto di Cesare nel seminterrato dell’allora Scuola elementare (popolare). Con il passare degli anni la legna lo ricoprì, tanto che nessuno era a conoscenza della sua esistenza, finché un giorno non fu ritrovata dal nostro direttore Dilber. Il professor Vukelić (Dilber) aveva un amico scultore a Zagabria - anche lui originario della Lika. Gli spedì il busto di Cesare affinché lo fondesse e ne ricavasse un cervo, che si trova ancora oggi proprio lì a fianco della Casa di Caccia, proprio come pensato dal nostro, ora defunto, direttore Dilber. La sede attuale della Casa di Caccia fu terminata nell’autunno di quello stesso anno.
La costruzione della Casa di Caccia fu finanziata anche fisicamente, su base quotidiana (specialmente di sabato e domenica), dai membri dell’Associazione venatoria “Tetrijeb†Delnice. Vi alloggiò per mezza giornata anche il defunto presidente Tito, con la sua delegazione, in due occasioni diverse. Questa fu la prima volta. La seconda volta, il defunto imperatore dell’Etiopia, Haile Selasi, giunse con un treno blu, accompagnato da Tito, ma di ciò parleremo in un’altra occasione...
Narrato, in data 25 settembre 2009, da Željko Gjukić, dipl. ing.
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